28/10/13

La biblioteca del libraio: I colori della nebbia di Mary & ...



 
 
 
Titolo: I colori della nebbia
Autore: Mary & Frances Shepard
Casa editrice: Harlequin Mondadori
Collana: I Grandi Romanzi Storici
Pag.: 315
Costo: 6,00













TRAMA
Mantova, stretta nella morsa del nebbioso autunno, non è più un luogo sicuro per Matilde Vicolini. Dopo essere stata testimone di un orribile delitto, la giovane cerca di farsi forza e tornare a vivere, ma la strada per riconquistare la serenità è ancora lunga. La buona sorte è in fermento per la visit dell'Imperatore d'Austria, e quando la giovane incontra William Rochmann, a un ballo, ogni sua certezza vacilla. William è un ufficiale austriaco, ferito nel corpo e nell'anima durante la battaglia di Austerlitz. Fra loro è subito passione, ma una serie di attentati minaccia la vita di Matilde e ogni promessa di felicità sembra svanire. Fra complotti, delitti e il nascente fervore indipendentista che attraversa la città, riuscirà il coraggio di un uomo a mantenere la pace nel Lombardo-Veneto? E l'amore di Matilde sopravvivrà alle tenebre?


IL MIO COMMENTO
Buongiorno lettori, e buon inizio settimana, comincio questa mia recensione ringraziando la casa editrice per avermi mandato questo libro e poi voglio complimentarmi con le scrittrici che con lo pseudonimo di Mary & Frances Shepard hanno scritto un bel libro. Un romance storico, intriso di storia, per i riferimenti a battaglie, incursioni, per lo sfondo mantovano, apprezzabile nelle descrizioni, tipiche del tempo, la nebbia che crea oscurità, incertezza, ma anche gli scorci nevosi della campagna, per finire con la bella storia d'amore tra la giovane Matilde e l'ufficiale William. Un romanzo scritto a quattro mani, e devo dire che ultimamente le scrittrici italiane si stanno impegnando molto, in questa nuova esperienza. Devo ripetermi come in un'altra occasione, penso non sia semplice al di là di una grande amicizia tra loro, scrivere un romanzo, sono tanti gli aspetti da considerare e soprattutto gli interessi per quanto comuni, chi ha scritto della storia d'amore? Chi ha scritto degli scorci della bella Mantova o delle battaglie? A tutto ciò devo dire che il libro è scorrevole, si legge bene ed è scritto bene, nelle descrizioni dei personaggi, ho osato anche fantasticare sul bel William, nei dialoghi, unico piccolo particolare avrei voluto una suspense maggiore nell'intreccio amoroso tra Matilde e William. Non posso spiegarmi oltre perché racconterei troppo, ma sappiate che all'interno del romanzo c'è tutto, passione, sentimenti, amore, ma anche duelli, insurrezioni, sotterfugi e intrighi, insomma un piccolo libro ma pieno di fascino.
 
Link:http://labibliotecadellibraio.blogspot.it/2013/10/trame-e-opinioni-i-colori-della-nebbia.html

27/10/13

La recensione di I COLORI DELLA NEBBIA sul blog La mia biblioteca romantica

I COLORI DELLA NEBBIA di Mary e Francis Shepard ( Harlequin) - Recensione



Autrici:  Mary & Francis Shepard  (Francesca Cani & Mariachiara Cabrini)
Pubblicazione:  I grandi romanzi storici Harlequin-Mondadori ,ottobre 2013, pp.320, € 6
Genere:  storico
Ambientazione: Italia,  Mantova  1815
Livello sensualità:  Medio/Basso
Ebook disponibile? Prossimamente

TRAMA:  Italia, 1815 - Mantova, stretta nella morsa del nebbioso autunno, non è più un luogo sicuro per Matilde Vicolini. Dopo essere stata testimone di un orribile delitto, la giovane cerca di farsi forza e tornare a vivere, ma la strada per riconquistare la serenità è ancora lunga. La buona società è in fermento per la visita dell'Imperatore d'Austria, e quando la giovane incontra William Roschmann, a un ballo, ogni sua certezza vacilla. William è un ufficiale austriaco, ferito nel corpo e nell'anima durante la battaglia di Austerlitz. Fra loro è subito passione, ma una serie di attentati minaccia la vita di Matilde e ogni promessa di felicità sembra svanire. Fra complotti, delitti e il nascente fervore indipendentista che attraversa la città, riuscirà il coraggio di un uomo a mantenere la pace nel Lombardo-Veneto? E l'amore di Matilde sopravvivrà alle tenebre?


Dietro ad uno pseudonimo anglosassone  si celano qui due autrici italianissime,  al loro debutto nel mondo del romance storico. Anche senza averlo già saputo in precedenza,  si  poteva peraltro indovinarne la nazionalità,  dalle splendide e accurate descrizioni autunnali della loro città: Mantova.
I colori della nebbia,  come dice il titolo, ma anche i profumi  e le sensazioni fisiche di un paesaggio autunnale,  traspaiono da questo romanzo, invitando chi  come me non conosce la città dei Gonzaga,  a una visita per riscoprire questi luoghi ricchi di storia, passati sotto diversi domini fino ad arrivare ai giorni nostri.
Con la definitiva sconfitta di Napoleone ed il Congresso di Vienna del 1815,  in Europa si attua la restaurazione dei vecchi regimi pre-esistenti. Mantova insieme a Verona, Legnago e Peschiera del Garda, costituì un importante baluardo difensivo degli Asburgo in Italia: il Quadrilatero. Il risorgimento e le guerre d’indipendenza sono ancora lontani e gli austriaci sono acclamati da parte della popolazione,  come  i salvatori dal morbo napoleonico.
Da queste premesse storiche si dipana la storia di Matilde Vicolini, una ragazza considerata “strana” nella cerchia della Mantova bene post napoleonica, un’artista che preferisce dedicarsi alla sua arte piuttosto che alla vita mondana come ogni ragazza in età da marito dell’epoca; la vita di Matilde  è stata segnata però,  da un delitto del quale è stata testimone, suo malgrado,  l’anno prima e che continua a tormentare la sua vita.  Il terribile assassino, presumibilmente un francese, infatti non è mai stato catturato.
Arriva in quei giorni in città il maggiore William Joseph Roschmann, incaricato di addestrare nuovi  soldati per i cacciatori di sua maestà. Questi dovranno essere  in grado di difendere a costo della vita, l’imperatore Francesco I e la di lui regale terza consorte Maria Ludovica d’Asburgo-Este, durante la loro prossima ed attesissima visita nella città del Lombardo Veneto.
William,  secondogenito di un conte, sin dalle prime righe si presenta come un uomo ferito, chiuso a nuove esperienze,  che trova nella vita militare l’unico scopo della sua esistenza;  abbandonati i ricchi salotti della corte imperiale viennese giunge in Italia deciso a non frequentare mai più la nobiltà annoiata delle feste mondane.
Il destino si sa, complica la vita degli uomini e a volte fa loro scoprire emozioni e sentimenti che ormai si credevano sopiti da tempo. Matilde incitata dalla formidabile nonna Carolina Ippoliti decide di partecipare, suo malgrado,  ai ricevimenti previsti in occasione del viaggio imperiale. In uno di questi ritrovi dell’alta società mantovana,  decidendo di eclissarsi in silenzio dalla folla soffocante,  trova seduto pensieroso  in una serra William, anche egli annoiato dal ballo e in fuga solitaria.
L’attrazione scoppia improvvisa tra due anime gemelle che si incontrano: da quel momento la storia d’amore tra Matilde e William sboccia,  tra tentativi di omicidio contro la protagonista e incomprensioni dovute all’appoggio di un cugino della ragazza,  Romoaldo,  alla causa nascente dell’indipendenza dal giogo asburgico.
A far da contorno alla storia d’amore dei protagonisti c’è il giallo che ho trovato avvincente e godibile e non banale, con colpo di scena finale che tiene il lettore avvinto fino alle ultime pagine del libro. Perfetti poi sono i personaggi secondari: il compagno d’armi di William, il maggiore Edmund e il suo idillio con la migliore amica di Matilde,  l’intraprendente Althea dei quali mi piacerebbe leggere  la storia; lo zio Eusebio pittore e notaio suo malgrado e la famiglia Vicolini al gran completo.
In conclusione,  un gran debutto per queste duo di scrittrici nostrane, un libro che racchiude in sé oltre alla canonica storia d’amore, un mistero da risolvere, splendide descrizioni paesaggistiche, un’accuratezza storica notevole e un bell’approfondimento psicologico dei personaggi; il tutto scritto in maniera eccellente e corretta.
Un unico appunto vorrei fare:  non mi è piaciuta molto l’attrazione tra i protagonisti  immediata e l’amore che  scoppia un po’ troppo presto rispetto alla storia raccontata, a mio gusto,  forse una maggiore tensione tra di loro avrebbe aggiunto mordente al libro.
Un plauso va anche all’editore che negli anni ha dimostrato interesse verso le scrittrici italiane emergenti, in fondo nel mare delle traduzione di best sellers d’oltreoceano una ventata di italianità non dispiace affatto.
Un in bocca al lupo a Francesca e Maria Chiara,  restiamo in attesa del seguito che mi sembra di aver letto sui social network è già in preparazione.



Link: http://bibliotecaromantica.blogspot.it/2013/10/i-colori-della-nebbia-di-mary-e-francis.html

25/10/13

Recensione I colori della nebbia

      

Il blog ISN'T IT ROMANTIC ospita una recensione del nostro romanzo:
" Italia, 1815 - Mantova, stretta nella morsa del nebbioso autunno, non è più un luogo sicuro per Matilde Vicolini. Dopo essere stata testimone di un orribile delitto, la giovane cerca di farsi forza e tornare a vivere, ma la strada per riconquistare la serenità è ancora lunga. La buona società è in fermento per la visita dell'Imperatore d'Austria, e quando la giovane incontra William Roschmann, a un ballo, ogni sua certezza vacilla. William è un ufficiale austriaco, ferito nel corpo e nell'anima durante la battaglia di Austerlitz. Fra loro è subito passione, ma una serie di attentati minaccia la vita di Matilde e ogni promessa di felicità sembra svanire. Fra complotti, delitti e il nascente fervore indipendentista che attraversa la città, riuscirà il coraggio di un uomo a mantenere la pace nel Lombardo-Veneto? E l'amore di Matilde sopravvivrà alle tenebre?
Vi è mai capitato di prendere un libro, iniziarlo distrattramente e poi avere una piacevole sorpresa tanto da dispiacersi quando la lettura finisce?
A me è capitato ieri con I colori della nebbia di Mary e Frances Shepard.
Ho mugugnato lanciandomi strali degni del temporale che infuriava fuori le mie finestre: ambientato in Italia, storico, esercito, rivolta...non ero sicurissima che fosse nelle mie corde.
E invece a dispetto delle mie prime sensazioni ho letto un bel libro, un racconto che prendeva sempre di più ad ogni pagina, un periodo storico raccontato con perizia e cognizione, una sensualità discreta e gentile e numerosi personaggi più o meno interessanti che contornano i due protagonisti.
Matilde Vicolini è una giovane ragazza mantovana che, mandata in campagna dai genitori per rimettersi da una malattia, scampa miracolosamente ad un orrendo e misterioso delitto dove vengono uccise le tre persone di servizio che la accudiscono.
Ritroviamo Matilde un anno dopo questi tragici avvenimenti : è tornata in città ma il terrore che l'assassino possa ritornare e uccida anche lei, unica testimone del massacro, ha paralizzato la sua voglia di vivere, di uscire di casa, di frequentare gli amici, di godersi la vita di ogni giorno.
L'unico porto sicuro in cui riesce a non pensare alla tragedia vissuta è quando prende in mano il carboncino e disegna. Sui fogli lei fa volare la sua fantasia, corre nei prati, passeggia fra le strade della sua amata Mantova in mezzo alla gente che non ha più il coraggio di affrontare e che la considera un po' strana.
La nonna di Matilde, la nobile Carolina Ippoliti, decide che è arrivato per la nipote il momento di ritornare in società, cercare nobili e scapoli di rango e pensare al matrimonio.
Quale miglior occasione quindi può essere la visita a Mantova dell'imperatore austriaco Francesco I e della sua consorte Maria Ludovica ? Al loro seguito arriverà sicuramente un gran numero di ufficiali e nobili di corte... e poi balli, ricevimenti, cene. Matilde potrebbe trovare di certo un buon partito e convolare a nozze nel giro di poco tempo.
La ragazza non è troppo contenta della decisione della nonna, ma alla fine decide di assecondarla e dare così una svolta alla sua vita dimenticando i fatti tragici che l'hanno tenuta prigioniera per un lungo anno tra le mura di casa.
Per preparare al meglio la visita dell'imperatore e garantire la sua sicurezza viene mandato in città l'ufficiale William Joseph Roschmann.
Il maggiore ha combattuto per anni nell'esercito asburgico con grande valore e dopo essere stato ferito gravemente per salvare la vita all'imperatore viene incaricato da lui a curare l'addestramento dei giovani  ufficiali della sua guardia personale e la sua eterna riconoscenza e benevolenza.
Mantova non è certo Vienna, ma il maggiore Roschmann accetta con entusiasmo  l'ordine di trasferirsi temporaneamente in questa remota provincia dell'impero per istruire la sgangherata truppa di soldati che presiede la città. Spera di ritrovare l'entusiasmo di un tempo e di allontanarsi per un po'  dai ricevimenti mondani di corte e dal variegato circo di persone che vi prendono parte e che non riesce più a sopportare.
Purtroppo per lui i ricevimenti e i balli ci sono anche nella bella Mantova ed è proprio ad un ricevimento che incontra Matilde.
L'attrazione tra i due scatta fin dal primo momento e fra incontri al mercato, guai di parenti impegolati con la resistenza e passeggiate romantiche, la loro storia inizia a prendere forma e consistenza. Per Matilde è il primo amore, ma la ragazza non ha problemi nè tentennamenti ad esternargli i propri sentimenti affascinandolo con la sua innocenza e la sua spontaneità.
Ma ricompare il pericolo, l'assassino, il francese. E' tornato per finire il suo lavoro e non lasciare testimoni scomodi che lo possano riconoscere.
William deve proteggere l'imperatore e fare in modo che il suo soggiorno  non dia forza maggiore al movimento indipendentista che attraversa la città, ma deve e vuole anche dare la caccia al misterioso assassino che minaccia la sua amata perchè intuisce che forse le due cose sono collegate.
Ci riuscirà? ... alla fine si logicamente, sennò che romanzo sarebbe? Ma per arrivarci le due autrici ci fanno fare un bel percorso che non annoia mai.
Tutto perfetto allora?
No, qualcosina  c'è ma alla fin fine sono piccolezze che fanno sorridere e non piangere come invece succede per alcuni libri... la fioritura delle peonie per esempio: il periodo in cui Matilde le disegna non può essere autunnale nemmeno per le specie più tardive...oppure il fatto che lei perda la sua virtù sulla panchetta del pianoforte: scomodissima donne e credo anche poco pratica... in qualche punto del libro si tende ad eccedere nelle nozioni di storia e può risultare pesante mentre in altre pagine si velocizzano stuazioni e stati d'animo ... nel 1815 credo che le giovani donne avessero meno libertà di pensiero e di atteggiamento...
Ma a parte queste mie pignolerie, il libro è molto gradevole e si legge veramente senza annoiarsi.
Ho visto che questo romanzo è la prima opera delle autrici... beh, complimenti e continuate a regalarci altri romanzi d'amore così. 
Io che sono così chiusa e ostica ai romance storici in generale perchè li trovo troppo noiosi o troppo cappa e spada, mi sono goduta questo libro dall'inizio alla fine.
ps: un consiglio per niente neutrale...se pensate alla marinlettrice inserite qualche bella scena sensuale in più!
E vi supplico signori Harmony: le copertine!!!
Un viso scialbo e poco virile come quello che che è sulla copertina del romanzo, se non lo avessi letto, mi fa cadere le braccia. Sembra il fratellino imberbe di Di Caprio uscito dall'asilo d'infanzia!"


LINK: http://www.romancebooks.it/romancebooks/node/4046
 

Nuova recensione! Sotto un altro




"Ieri sera ho terminato di leggere I COLORI DELLA NEBBIA di MARY & FRANCES SHEPARD.
Devo dire che il libro,nonostante sia uno storico, mi è piaciuto molto. A mio parere è scritto molto bene. Il periodo storico è quello dell'esilio di Napoleone, e la conquista del regno Lombardo Veneto da parte degli austriaci. Mi è piaciuta molto la storia d'amore del Maggiore William con la signorina Matilde..un amore romantico e molto forte,nato subito appena si sono conosciuti.
William è un Maggiore dell'esercito austriaco,devoto all'imperatore,ma fa di tutto per proteggere la sua amata....minacciata di morte. Matilde è una ragazza forte che vince tutte le sue paure per amore del Maggiore...non posso dirvi di più altrimenti farei Spoiler e non mi sembra giusto.
E' molto bella anche la storia d'amore che nasce contemporaneamente tra il Maggiore Edmund, amico e commilitone di William, e la signorina Altea,amica intima di Matilde.
Da parte mia lo consiglio!!!"


Franca Poli, Facebook nel Gruppo Le Harmomyne

24/10/13

Intervista sul blog Cipria e Merletti




Ci hanno intervistato sul blog CIPRIA E MELETTTI, ecco una piccola anteprima dell'intervista:



INTERVISTA DI C&M ALLE AUTRICI


C&M: La scrittura a quattro mani è diversa da quella individuale. Era la vostra prima esperienza in tal senso? Potete descrivere ai nostri lettori cosa significa praticamente scrivere un libro insieme ad un’altra persona e quali difficoltà – e vantaggi – comporta?

M. Era la prima volta che ci cimentavano nella scrittura a quattro mani, e all’inizio prendere il ritmo può essere un poco difficile, poiché ognuna ha il proprio stile e la propria visione dei personaggi. Bisogna costruirsi una buona scaletta suddividersi bene i capitoli, poi piano piano dopo i primi capitoli si inizia a prenderci la mano, e a correggersi l’un l’altra per creare uno stile unitario in tutto il romanzo. Non bisogna mai smettere di confrontarsi. A volte capitava che per un capitolo impiegassimo giorni per arrivare alla stesura definitiva, rimbalzandocelo a vicenda più volte, ma poi il risultato era sempre migliore della prima versione. Scrivere in due aiuta molto la prospettiva dello scrittore, hai subito un lettore pronto a dirti ciò che è chiaro e ciò che non lo è. Inoltre hai sempre qualcuno che ti sprona nei tuoi momenti di stallo.
F. Condivido ciò che ha detto Mary e aggiungo che dopo ogni dibattito il romanzo era più forte. Quando non eravamo d'accordo su un passaggio, dopo aver discusso e limato gli spigoli, nasceva sempre qualcosa di nuovo ed enormemente più stimolante. Quindi, sebbene questa sia stata la nostra prima esperienza in tandem, trovo sia stata una scelta ardita, ma che ha premiato i nostri sforzi con un risultato che spero apprezzerete.

C&M: Perché scegliere di scrivere con dei nom del plum e come avete scelto i vostri?

M. E’ un omaggio alle nostre scrittrici di romance preferite, quasi tutte anglosassoni. Io adoro Mary Balogh, mi chiamo Mariachiara, perciò scegliere il nome Mary è stato automatico.
F. Io mi chiamo Francesca, da qui Frances, amo infinitamente l'Irlanda, l'Inghilterra e la Scozia (proprio ora, mentre rispondo all'intervista) sono sul volo di ritorno da Knok). Adoro la letteratura anglosassone in genere, perciò trovare un nome anglofono mi ha portata virtualmente nella terra che amo.

C&M: Cosa vi ha spinto ad iniziare come scrittrici proprio nel genere Harmony?

M. Entrambe abbiamo già scritto, autonomamente, romanzi di altri genere, e vari racconti. Quando ci è venuta l’idea di tentare l’avventura della scrittura in coppia, abbiamo pensato che valesse la pena tentare di scrivere un libro di un genere che avesse un vasto pubblico, e fosse commerciale, e visto che entrambe siamo avide lettrici di romance, abbiamo scelto quello.
F. Abbiamo confrontato le nostre esperienze, ci siamo documentate su quale fosse un genere gradito agli editori e al pubblico. Abbiamo concordato di tentare con Harlequin, che ha nella propria scuderia alcune autrici italiane di successo. Che dire? È andata bene! Siamo state scelte!

C&M: Quali sono le differenze tra scrivere un romanzo harmony rispetto ad un romanzo di narrativa “normale”? Comporta diversità nella trama, nello stile di scrittura, nelle scene raccontate e nella creazione dei personaggi? Come si risolvono questi fattori?

M. Io non ho trovato grandi differenze. Ho scritto romanzi rosa contemporanei, paranormal, e fantasy, e forse ho trovato tra tutti più ostico il fantasy che comporta la creazione di un intero mondo con delle regole proprie. Se scrivi un genere che conosci bene grazie a molte letture sai già come muoverti. Naturalmente il romance storico prevede alcuni punti fermi, come scene d’amore e un lieto fine, e delle ricerche storiche.
F. Ci sono dei vincoli naturalmente, che sono sotto gli occhi di tutti, lettrici comprese: ci deve essere il lieto fine, i due protagonisti devono avere costantemente i riflettori puntati contro. Questi e altri aspetti sono i requisiti fondamentali del genere romance, accettarli per me non è stato difficile.
 
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Recensione su Goodreads




"Bel romanzo, anche perché la storia non si limita a quella d'amore ma ci mette anche un giallo con un'ottima ricostruzione storia. I personaggi mi sono piaciuti e anche la velocitá con la quale si arriva alla soluzione."

Gonza sul sito Goodreads 

23/10/13

Nuove opinioni sul nostro romanzo, evviva!



"Personaggi intensi ma allo stesso tempo non "perfetti", perciò quanto mai realistici e con i quali si entra subito in empatia. Ambientazione in una Mantova affascinante e sorniona che fa da sfondo ad una storia davvero avvincente. Assolutamente da leggere!"

Danila sul sito eHarmony



"Un debutto col Botto!!
Innanzitutto l'ambientazione è bellissima sia dal punto di vista storico che geografico. Lui non è il solito libertino (per fortuna ero un pò stufa di questa cosa) ferito nel corpo ma soprattutto nell' anima Lei fragile per i traumi subiti all'inizio diventa forte e coraggiosa per amore e devo dire che questa crescita seppur veloce mi è piaciuta. Forse un pò troppa lunga la parte del giallo inserita nel romanzo ma alla fine Bellissimo. E soprattutto i protagonisti non sono perfetti e meno male!!!!"

Anna sul sito eHarmony


"Ho appena finito di leggerlo! E' un connubio perfetto fra storia e romanzo e la relazione amorosa fra i protagonisti nasce e cresce perfettamente integrata negli avvenimenti storici dell'epoca a Mantova. I personaggi sono descritti con particolare accuratezza e la parte puramente storica è frutto di ricerca e passione! Ho apprezzato inoltre le descrizioni di abiti, acconciature ed arredamento che, alternandosi alle scene più cruente, hanno reso la storia gradevole e perfettamente bilanciata fra romanzo e realtà storica. Mi complimento con le scrittrici che hanno evidentemente saputo gestire molto bene la stesura "a quattro mani" ed attendo il seguito che ho intuito potrebbe essere già nell'aria!"

Vania sulla pagina Facebook di I colori della nebbia 


"Davvero un bel romanzo, con personaggi più realistici dei soliti che leggiamo ma che sanno prenderti con la loro tenera storia d'amore dichiarata quasi subito e non alla fine del libro."

Rosa sul sito eHarmony

21/10/13

Il primo ballo

 

 

IL PRIMO BALLO

 
 
 
Matilde, sua nipote, le aveva chiesto molte volte di raccontarle come avesse fatto la figlia di un povero mezzadro, quale era stata Carolina in gioventù, a conquistare un marchese e a sposarlo; ma lei aveva sempre evitato l'argomento, sicura che la storia rocambolesca di come gli avesse salvato la vita non fosse adatta alle giovani orecchie della nipote. Tanto più che c’era chi in passato l’aveva giudicata scandalosa e additata come un’ arrampicatrice sociale! Non poteva credere fossero già passati più di quarant'anni da quel fatidico primo incontro. Come volava via il tempo e quanto le mancava suo marito Alberto...
Tornò con la mente all’estate del 1772 e le immagini e i suoni del passato la travolsero…
«Carolina, devi aiutarmi a convincere nostro padre a lasciarci andare alla festa, stasera. Il patrono si celebra una sola volta l’anno e, se stanotte non ballerò con il mio Giuseppe, non mi chiederà mai di sposarlo e resterò tutta la vita sulle spalle della famiglia!» sbottò Leda, aggrottando le sopracciglia e assestando un calcio molto poco signorile a un ciuffo di gramigna.
Carolina sorrise davanti alle paturnie della sorella. Nonostante avesse diciotto anni, solo un anno più di lei, Leda si atteggiava come una donna di mondo ed era talmente attratta dai giovani del villaggio da aver perso ogni ragionevolezza. Era una ragazza dolce e piena di vita, ma negli ultimi mesi era diventata talmente leggera, che loro padre si era visto costretto a porre un freno alla sua esuberanza. Sperava ardentemente di non fare la stessa fine della sorella, una volta raggiunta la sua età. Non voleva trasformarsi in ragazza fatua e perennemente innamorata. Era molto diversa da Leda, più pratica e meno incline a perdere la testa per un nonnulla, e intendeva rimanere così.
«Oh, eccolo là! Non è bello? Toglie il fiato…» esclamò Leda in un sussurro estatico, agitando la mano in direzione di un campo. Chino sul raccolto di grano vi era l’oggetto del suo desiderio: Giuseppe il giovane più attraente del contado, con tanto di muscoli guizzanti bruniti dal sole rovente di inizio estate. Sua sorella corse verso di lui e non si voltò indietro nemmeno quando Carolina iniziò a urlare. «Leda torna qui! Non puoi lasciarmi sola con il carico!»
Tirò inutilmente le redini del mulo sovraccarico di ceste di vimini. La bestia ostinata si rifiutava di muoversi e sua sorella invece di aiutarla era partita come una scheggia e si era ormai dileguata nei campi. Come al solito, non poteva contare che su se stessa. Fissò negli occhi l'anziano animale e disse: «Quando ti conduce mio padre non osi ribellarti per paura dello scudiscio, giuro che la prossima volta porterò con me uno spillone e allora vedremo chi l'avrà vinta!». Con un sospiro, sollevò dalla groppa un fascio di rami di gelso che aveva raccolto al confine nord del podere, e se li caricò in spalla incamminandosi verso casa.
«Traditore anche tu…» mormorò Carolina, seguita a passo lento da mulo che, dopo aver condiviso con lei parte del carico, era tornato a essere docile e ubbidiente.
Era in ritardo e sua madre a quell’ora si aspettava avesse già nutrito i bachi da seta ma, prima di raggiungere il loro podere, doveva per forza passare per corte Sganzerla, dove l’anziana moglie del fattore attendeva la propria scorta di gelso. Era terrorizzata da quel luogo e odiava le oche che quella famiglia allevava per uova e carne, erano feroci come lupi e ostili verso chiunque si avventurasse sul viale di ghiaia bianca dell’ingresso.
Non appena fu visibile dall'aia della casa padronale ebbe iniziò il loro starnazzare e poi le vide: in gruppo, con i lunghi colli protesi e i becchi schioccanti, si lanciarono contro di lei, decise a proteggere il loro territorio.
«Via! Via!» gridò, ma urlare non serviva ad allontanarle, e non essendo alta come sua sorella non riusciva neppure a evitare i loro becchi. Corse più veloce che poté, ma portando il pesante fardello non poteva distanziarle. Fortunatamente la signora Anna si materializzò, curva e avvolta nello scialle, sulla porta della corte e, con la sua voce stridula richiamò le oche e gettò loro del mangime. Quei diavoli dalle piume bianche interruppero l’inseguimento per gettarsi sul cibo e Carolina tirò un sospiro di sollievo. Consegnò i rami di gelso, ricevendo in cambi due soldi, quindi ripartì verso casa, lanciando occhiate sprezzanti all’ammutolito gruppo di volatili.
Fu per puro caso che, costeggiando un giovane pioppeto, vide spuntare da un cespuglio di more selvatiche dei piedi scalzi, piedi straordinariamente lisci e slanciati, appartenenti a un uomo, sicuramente, ma di certo non a un contadino. Incuriosita si avvicinò e li toccò con la punta delle scarpe, ma l'uomo non si mosse. Se stava dormendo aveva un sonno davvero pesante, pensò, e poi chi mai si sarebbe fermato a riposare sotto un arbusto carico di spine? Decisa a venire a capo di quel mistero si inginocchiò a terra e lo tirò per le caviglie, ma pesava come un masso e non riuscì che a spostarlo fino rendere visibili le sue ginocchia. Caparbia, insistette e puntando i piedi tirò con tutta la propria forza ancora una volta, finì a terra, ma almeno trascinò lo sconosciuto fuori dal cespuglio. Con orrore vide che qualcuno gli aveva sparato al braccio e doveva anche avergli rubato gli abiti, poiché aveva indosso solo dei calzoni di stoffa pregiata. Forse era un borghese di città incappato in una banda di ladroni o di contadini affamati. Con un sospiro si rese conto che toccava a lei salvarlo. Era la sola cosa di buon senso che potesse fare e, dopotutto, sua madre non avrebbe di certo potuto punirla per il ritardo se le avesse detto di aver agito per carità cristiana. Si strappò un lembo della sottogonna e cercò di ripulirgli il petto ampio dal sangue, per poter esaminare meglio la ferita e scongiurare ve ne fossero altre. Il proiettile gli aveva trapassato il braccio da parte a parte, appena sotto la spalla, sembrava un foro pulito e netto. Con tutta probabilità sarebbe sopravvissuto. Ricordando come l’avevano curata quella volta che si era ferita la gamba con il falcetto, masticò alcune foglie di gelso fino a ridurle in una poltiglia e le utilizzò per chiudere la ferita, poi si tolse la sottogonna e ne fece delle lunghe strisce con cui bendò il braccio dell’uomo.
«Non hai voluto trasportare le fascine? E ora dovrai sopportare un peso ben maggiore» commentò ironica, rivolgendosi al mulo. Mettere il ferito, molto più alto di lei, sulla groppa dell’animale fu una faticaccia, ma Carolina era forte e tenace, temprata dalla vita semplice che aveva sempre condotto e se si metteva in testa di fare una cosa, vi riusciva sempre in qualche modo. Fortunatamente l’animale stavolta non si ribellò e si mise in cammino. Intendeva portare l’uomo fino al capanno dei bachi da seta, nel podere di suo padre, dove avrebbe potuto curarlo a dovere, ma lo sconosciuto rovinò i suoi piani, riprendendo conoscenza e iniziando a lamentarsi.
«Accidenti a me! Mi sembra di stare in piedi sul ponte di una nave in balia delle onde, tanto il mondo dondola davanti ai miei occhi! E il braccio mi fa un male del diavolo…» mormorò il ferito stringendo i denti per il dolore, poi si mosse, cercò di tastare il braccio, ma si trovava riverso sulla schiena del mulo, così cadde a terra, rimanendo senza fiato.
Carolina si chinò su di lui e si trovò puntati addosso due occhi azzurri come il cielo d’estate che la fissavano con aria sognante e confusa. «Ho la vista annebbiata e non mi sento molto bene, ma vi vedo, sapete? Siete forse una visione? Giovane e bella e giunta fin qui per trarmi in salvo? Se è un sogno non voglio svegliarmi, nonostante il dolore. Il vostro viso è delizioso, anche ora che ha assunto una smorfia di disappunto: con le gote arrossate dal sole, due profondi occhi neri, capaci di stregare un uomo, e capelli corvini talmente scuri da avere riflessi blu, degni del piumaggio di un pavone. Sareste la fanciulla più corteggiata di tutta Mantova se vi deste una ripulita, parola mia …»
«La parlantina non vi manca, direi che è un buon segno, sopravvivrete» sentenziò lei, rendendosi conto che non aveva davanti un borghese, bensì un nobile. Il modo in cui parlava non lasciava dubbi. Quasi sicuramente si trattava di un rampollo annoiato in cerca di svaghi pericolosi nel contado, che aveva trovato pane per i suoi denti.
«Le bellezze come la vostra erano guardate con sospetto nel medioevo, sapete? All’epoca le incantatrici venivano mandate al rogo» le disse lui, piccato dalla sua indifferenza ai complimenti che le aveva fatto e per tutta risposta lei scoppiò a ridere.
«Fra poco direte di essere stato stregato da me e tenterete di baciarmi?» gli chiese, fissandolo con tutta la freddezza che riuscì a racimolare. La realtà era che quell’uomo la incuriosiva, si fermò a osservare i folti capelli neri, straordinariamente lucidi, e gli occhi turchesi. La destabilizzava soprattutto l’espressione accigliata che lui assumeva aggrottando la fronte, con le rughe sottili che gli si formavano a lato degli occhi e gli facevano brillare lo sguardo. Se poi a essa si univa il sorriso malandrino, che incurvava le labbra sensuali… Deglutì e tornò a fissarlo con biasimo. «Agitandovi e farneticando avete rovinato il mio duro lavoro: pensate sia stato semplice issarvi sul mulo? La ferita ha ricominciato a sanguinare e io non ho più stoffa per fare nuove bende. Forza, alzatevi in piedi, vi condurrò in un luogo sicuro. Non vi ho salvato la vita per lasciarvi morire dissanguato sul selciato. La vostra ferita non è poi così grave, ho visto di molto peggio. Quando mio zio è stato incornato dal toro, gli sono persino fuoriuscite le interiora, eppure non ha emesso un solo lamento, mentre il cerusico lo ricuciva!»
Lui si rimise in piedi con fatica, oscillò, ma i muscoli giovani e guizzanti lo sorressero.
«Oh, Oh, attraente e agguerrita e dire che non sapete nemmeno il mio nome!» scherzò, muovendo passi incerti verso il mulo. «Forse, dopo che l’avrete saputo sarete meno scontrosa…»
Le sue parole furono interrotte da delle grida concitate che si avvicinavano.
«Quel figlio di un cane non è morto! Il corpo è sparito! Ah, ma se lo piglio, lo scanno, giuro! Non può essere andato lontano, sono certo di averlo preso con lo schioppo. Tommaso, Evandro, andate di là, io vado da questa parte, non ci sfuggirà quel maledetto!»
Carolina alzò gli occhi al cielo. Non era proprio la sua giornata fortunata. Tentava di fare una buona azione, ed ecco che l’uomo che soccorreva si rivelava ricercato dalle guardie del villaggio. «Per favore, ditemi che non cercano voi…»
Prima che potesse aggiungere altro la grande mano dell’uomo le si serrò sulla bocca costringendola a voltarsi. «Nascondetemi e sarete ricompensata. Denunciatemi, e giuro che, se sopravvivrò, vi rovinerò la vita, mentre se morirò il mio fantasma vi perseguiterà!» La sua stretta sul viso di Carolina divenne ancora più salda. «Sono un uomo potente e non sto scherzando» ringhiò.
Le fece segno di rimanere in silenzio e con cautela la liberò. Il cuore le batteva così prepotente nel petto da sovrastare ogni altro rumore, ma era decisa a non mostrare a quel bruto alcuna debolezza. «Stendetevi a terra dietro quelle canne palustri. Sbrigatevi.» Lei stessa, dopo aver affibbiato una schiaffo al posteriore del mulo, che scappò ragliando, si accucciò a terra e aspettò che gli inseguitori passassero loro accanto e li superassero
«Ora seguitemi e non fiatate. Potete fare il prepotente quanto volete, ma dipendete dal mio buon cuore perché, se dovessi decidere di lasciarvi a quegli sgherri, foste anche il principe d’Inghilterra, quei bruti vi ucciderebbero. Non sembrano per nulla intimoriti dal vostro titolo! In fondo gli basterà additare la vostra dipartita come un incidente di caccia. Perciò non minacciatemi mai più» sibilò lei, rimanendo un istante incatenata allo sguardo ceruleo e pungente di lui. Non appariva più minaccioso, sul suo volto c’era di nuovo quel mezzo sorriso sfrontato.
«Abbiamo un accordo» mormorò lui con voce roca.
A gattoni Carolina tornò sui propri passi, ma aveva sottovalutato l’uomo di fiducia del fattore che, scorto il mulo solo nel campo, si era appostato lì ad aspettarli con la falce in pugno.
«Eccoti, figlio di buona donna! E ancora in compagnia femminile! Ah! Ma hai finito di fare la bella vita!»
Prima che si potesse avventare contro di loro, Carolina balzò in piedi e iniziò a correre verso di lui, fingendo di essere disperata, quando gli fu vicina lui aprì le braccia protettivo così, sfruttando la velocità che aveva preso, riuscì a spingerlo nel fosso alle sue spalle.
«Ben fatto!» ammise lo sconosciuto, afferrandola per un braccio e trascinandola con sé.
«Avete idea di dove state andando, almeno?» si ribellò Carolina, divincolandosi e puntando i piedi. Avevano corso a perdifiato nel contado, ma non potevano essere certi di aver seminato i loro inseguitori.
«No, a dire il vero» rispose lui, lasciandole il polso e chinandosi per riprendere fiato. «Mentre cerco di recuperare il respiro, perché non mi dite il vostro nome? Mi sento debole e mi tremano le gambe... Potrei morire e vorrei almeno sapere il nome dell’ultima donna che ho conosciuto…» le lanciò un sorriso affascinante.
«Avete l’aria di essere robusto, al massimo perderete i sensi, ma non morirete per una ferita alla spalla. Anche perché ho deciso di salvarvi la vita e io porto sempre a termine ogni cosa che inizio» replicò lei.
«Siete indubbiamente sicura di voi» chiosò lui. «Ditemi, c'è qualcosa che temete al mondo?»
Carolina arrossì. «Ho il terrore delle oche» ammise.
Lo sconosciuto la guardò stupito, ma non poté commentare la sua confessione, poiché il dolore e la stanchezza dovuta alla corsa, lo fecero crollare sulle ginocchia, mentre la grande schiena nuda e muscolosa era scossa da respiri brevi e superficiali.
Il rumore di uno sparo, a poca distanza da loro, li fece sobbalzare. Seguirono altri botti, e Carolina si ritrovò stesa a terra coperta dal corpo dello sconosciuto che cercava di farle scudo contro i proiettili.
«Dobbiamo scappare! Siete in grado di correre?» gli chiese in un sussurro.
«Credo di sì.»
L’aiutò ad alzarsi e insieme riprese a fuggire per i campi. Dopo poco Carolina vide che il ferito, ansante, rallentava l’andatura. Non potevano rimanere fermi, o rischiavano di venire catturati, ma era evidente che lui non poteva più continuare a correre. Dovevano nascondersi.
«Forza, vi chiedo solo un ultimo sforzo. Dobbiamo arrivare laggiù» disse indicando una costruzione in lontananza.
Vi era una piccola pieve diroccata davanti a loro. Era addossata alla parete di un fienile, a poca distanza da una serie di altri edifici, tra cui la casa del fattore più ricco del villaggio, di pianta rettangolare e alta ben due piani, era l’edificio più imponente della zona.
«Vorreste che ci nascondessimo proprio vicino alla casa del fattore che mi insegue? Siete pazza?» ansimò l'uomo sudando copiosamente.
«Ah! Quindi le guardie vi cercano per qualcosa che avete fatto al signor Golinelli. Di cosa si tratta? A giudicare dalla foggia dei vostri abiti, quei pochi che avete indosso almeno.... Non potete essere un ladro....»
«C’era una donna del borgo che mi piaceva e che mi aveva fatto capire di essere interessata a me e disponibile per un incontro privato. Ha però omesso di dirmi che era sposata… E suo marito mi ha fatto questo…»
«Non ditemi che vi ha sorpreso nel suo letto! Proprio come in una farsa della commedia dell'arte! In effetti, questo spiegherebbe perché siete quasi nudo» ammise, lasciandosi sfuggire una risatina.
«Sono lieto che la mia disavventura vi diverta, ma io qui sono ferito, oltre che ricercato, e morirò se non ci muoviamo da qui! »
Carolina guardò quegli occhi azzurri e tempestosi e si chiese cosa le dicesse il cervello? Quello era un uomo pericoloso, che non aveva esitato a minacciarla e che era rincorso dalle guardie del villaggio perché aveva deciso di divertirsi con una donna sposata! Perché mai si sentiva in dovere di salvarlo? Ricordò come avesse cercato di proteggerla poco prima, la sensazione del peso del corpo di lui sopra al proprio era ancora viva in lei e ,osservando quel volto così pallido, l’istinto di soccorrerlo ebbe la meglio sui dubbi. L'avrebbe tenuto in vita a qualsiasi costo. Doveva mantenerlo vigile fino a che fosse riuscita a farlo distendere sui banchi della chiesa quindi, sforzandosi di apparire perentoria, annunciò: «All'interno della pieve saremo al sicuro. Cercheranno ovunque, ma la vecchia chiesa del borgo è chiusa da anni perché il tetto sta crollando, gli sgherri non sanno che noi ragazzi abbiamo continuato a entrare, nonostante la porta sia sbarrata. C'è un passaggio che solo noi conosciamo. Seguitemi.»
Raggiunta la chiesa lo guidò attraverso un pertugio nascosto dai cespugli di robinia. Era molto stretto e lui fu costretto a stringere le spalle per poter passare.
«Fa un male del diavolo…» asserì a denti stretti, tenendosi il braccio ferito
«Quando avrete riposato, starete meglio e sarete pronto per tornare a casa vostra» minimizzò Carolina, conducendolo, mano nella mano, a uno dei banchi della chiesetta. «Stendetevi.»
Lui obbedì, lamentandosi: «E’ così scomodo... se potessi appoggiare la testa alle vostre gambe…»
«D’accordo» assentì, sistemandosi sulla panca.
Quando accolse il peso del suo capo in grembo, e incontrò quegli occhi azzurri nella penombra, sentì un vuoto allo stomaco. Non era mai stata così conscia della presenza di qualcuno. Il cuore perse un battito e improvvisamente capì perché lo stava aiutando. Un nodo d’ansia le fece voltare gli occhi e sfuggire il suo sguardo. Era attratta da lui! Lui le piaceva! Era così che si sentiva Leda? Sciocca e perduta, non più capace di agire con logica solo perché un uomo tanto bello da mozzarle il fiato le aveva rubato la ragione?
«Mi chiamo Carolina» gli disse per rompere il silenzio carico di tensione.
«Marchese Alberto Maria degli Ippoliti, per servirvi» asserì lui e quel sorriso sfrontato si fece ancora largo sul suo volto.
«Oh, mio Dio! Non mentivate, siete il proprietario di tutte queste terre!» gemette cercando di divincolarsi.
Lui le bloccò i fianchi con le mani forti e non poté far altro che rimanere a cullarlo con il seno a un palmo dai suoi occhi accesi di passione.
Delle voci concitate giunsero dall’aia. Gli inseguitori erano ancora sulle loro tracce.
Carolina si morse un labbro preda dell’indecisione. «Non credo tenteranno di entrare… ma è meglio nascondersi comunque. Alzatevi e seguitemi.»
Lui annuì e lei lo condusse, prendendolo per mano, verso l’abside. Il tetto della piccola pieve era mezzo diroccato e la luce del sole allo zenit trafiggeva con le sue lame cariche di pulviscolo la semioscurità della navata. Sotto a delle assi, che Carolina si sincerò di sistemare in modo che non sembrassero spostate di recente, si aprì una botola. Vi si infilarono entrambi, mentre le voci dei guardiani del podere si avvicinavano. Quando chiuse lo sportello facendo cadere sopra le assi, il fragore fu coperto dal frastuono dei colpi che, sulla porta della pieve, si abbattevano per infrangere i sigilli.
In silenzio, accovacciata in braccio a un uomo al quale, in una situazione normale, non avrebbe nemmeno potuto rivolgere la parola, si sentì viva come non mai. Poggiata contro quell’ampio petto, ascoltando il battere ritmico del suo cuore, si rilassò fino a chiudere gli occhi. Improvvisamente la mattinata a cogliere gelso, i dispetti di sua sorella, le schermaglie con il mulo e la prospettiva di ricevere dai genitori la più colossale lavata di capo della sua vita, le parvero preoccupazioni lontane. Lei era Carolina, la ragazza che aveva salvato la vita a un marchese, e stretta a lui, con il suo fiato caldo che sapeva di buono sulle labbra, non temeva nulla. Agì forse spinta dall’adrenalina, ma quando le labbra di lui si impossessarono della sua bocca, non la sfiorò nemmeno il pensiero di resistergli, anzi dovette trattenersi dal gemere. Poi fu la volta dell’assalto delle sue mani, che le esplorarono il corpo, decise, mentre la lingua di lui affondava e affondava nella sua bocca, togliendole ogni energia. Rispose, sebbene non sapesse nulla di amoreggiamenti, lo assecondò ed esplorò il suo corpo, per quanto la botola angusta e le persone che camminavano sopra di loro le consentissero. Il pericolo sopra le loro teste acuì i suoi sensi, la rese audace e le tolse ogni inibizione, ma quando gli uomini uscirono dalla pieve, la ragione le ripiombò addosso come fosse stata una coperta pesante giunta per coprire la sua vulnerabile nudità. Non era del tutto svestita, per fortuna, ma era così avvinghiata a lui che dovette puntare le mani sul suo petto per allontanarlo. Lui gemette.
«Fate piano, sono ferito» affermò con il riso nella voce carezzevole. «E grato di esserlo… Se questo è il vostro modo di curare gli infermi, mi farò sparare tutti i giorni!»
«Come osate!» si indignò lei fuggendo dalla botola e dalle sue braccia.
«Vi è piaciuto, e molto, essere baciata da me, non potete mentire.»
Poteva eccome! E poteva salvarsi da quella situazione assurda, quindi si rassettò l’abito sentendo con rabbia che i capezzoli le si erano talmente induriti da dolere sotto la stoffa del busto. L’unico modo per sfuggire a quella follia era porvi fine. Così disse: «Aspettate qui fino all’imbrunire, c’è la festa del patrono a corte Sganzerla, tutti i fattori e gli abitanti del contado saranno là, quindi sarete libero di fuggire.» E, agile come un coniglio di campagna, sparì facendosi strada fra i resti della pieve abbandonata.
La musica allegra della festa non riusciva a contagiarla, Carolina si sentiva frastornata e di pessimo umore. Per tutto ciò che lei e Leda avevano combinato, per non essere arrivate a casa con il carico di gelso, per aver abbandonato il mulo ed essersi volatilizzate per ore, avevano rischiato di non essere presenti, tanto i loro genitori si erano infuriati. Ma, alla fine, ogni cosa era andata al proprio posto: il mulo aveva vagato un po’, ma poi era tornato spontaneamente alla cascina, salvando così l’allevamento dei bachi da seta. Il comportamento delle due sorelle era stato giudicato inopportuno, ma la sola idea che Leda, la maggiore, non si sposasse a causa di una punizione esemplare aveva fatto cedere loro madre, che aveva acconsentito affinché si recassero alla festa. L’unica che aveva subito una punizione, alla fine, era stata lei, perché per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto partecipare alla celebrazione del patrono! Non il giorno in cui il suo corpo aveva conosciuto una bruciante verità: si sarebbe innamorata anche lei, se fosse stato l’uomo giusto a corteggiarla. Questa scoperta aveva sconvolto la sua placida esistenza e avrebbe voluto rimanere sola a riflettere su ciò che le era capitato, invece di stare in mezzo alla folla. Non era in vena di festeggiamenti, e nemmeno il fatto che le guardie del villaggio, non l’avevano riconosciuta come la donna che aveva aiutato la loro preda a scappare, non era bastato per risollevarle il morale. Con i capelli acconciati e sollevati sopra il capo in un intricata treccia ornata di nastri multicolore e con indosso il vestito della festa, non era per nulla somigliante al diavolo scarmigliato che li aveva disturbati quel pomeriggio, appariva come una bella ragazza in abito di cotonina color malva con un’espressione malinconica sul volto che, al limitare dell’aia, osservava gli altri danzare. Si sentiva distaccata da tutto quel movimento di abiti sgargianti e dalla musica della piccola orchestra, come fosse ancora preda di un sogno svanito troppo presto. Sentiva in gola l’amaro gusto del rimpianto. Non avrebbe rivisto l’affascinate marchese degli Ippoliti, mai più. I loro mondi erano troppo distanti e incompatibili, come ghiaccio e fuoco.
Sorrise, scuotendo il capo. Le venivano in mente decine, centinaia, di diversi epiloghi alla sua avventura, tuttavia nessuno prevedeva che fosse sola in quel momento. Cercando di scacciare la malinconia con la praticità che la distingueva, afferrò un bicchiere di vino speziato e lo trangugiò d’un fiato facendo una smorfia disgustata.
«Dovete andarci molto più piano, mia bella, eroica, fanciulla, o non sarete sufficientemente lucida per ballare.»
La voce le giunse alle spalle e lei, che aveva chiuso gli occhi, li spalancò e tossì l’ultimo sorso di vino. Una grande mano calda le si posò sulla schiena e la fece voltare.
Occhi turchesi e un sorriso malandrino la trafissero e le fecero tremare le gambe.
«Non potevo lasciarmi sfuggire una ragazza del vostro stampo. Non ho mai conosciuto nessuno come voi. Perciò, nonostante rischi di venire preso a botte, se non peggio, sono venuto fin qui per guidarvi nelle danze... Stando attento a voltare sempre le spalle alla folla. La prudenza non è mai troppa e non voglio incidenti, non stasera, poiché questa serata promette di essere la più piacevole di tutta la mia vita.» Le posò un lieve bacio sul dorso della mano, scaldandola come se si trovasse di fronte a un fuoco ardente. Quello era il primo ballo della sua vita e, per ironia della sorte, malgrado lei fosse una giovane con la testa sulle spalle, avrebbe avuto un principe come cavaliere.

Desideri Sopiti

 

 

DESIDERI SOPITI

La nebbia cristallizzava per effetto del vento del nord e cadeva sotto forma di minuscole schegge ghiacciate che, non appena uscì dal porticato, la avvolsero in un freddo bozzolo. Le stilettate del gelo, così intenso da farsi largo sino alle sue ossa, la fecero tremare, mentre accostava le mani pallide alle labbra per soffiarvi un po’ di tepore. Corse sull’acciottolato della strada deserta, senza udire null’altro che i tonfi del proprio cuore. L’oscurità era totale e le impediva di capire dove fosse.
Come era finita lì?, si chiese disperata, ma era troppo terrorizzata per rispondere anche alla domanda più elementare.
Solo dopo un tempo che le parve eterno, riuscì a scorgere un bagliore. Si trattava di una lanterna appesa all’angolo fra due strade. La raggiunse lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo. Se avesse letto un’insegna o riconosciuto un negozio avrebbe potuto orientarsi, Mantova era pur sempre la città in cui era nata.
Sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi sola, senza scorta, sperduta fra le viuzze del centro cittadino, nel mezzo della notte, ma il pensiero che William fosse in pericolo non le lasciava pace. Doveva raggiungerlo, stargli accanto e sentire il calore che il suo corpo emanava, solo così avrebbe potuto liberarsi del ghiaccio che le serrava il petto.
Il silenzio opprimente di un attimo prima fu squarciato dal rumore cadenzato di stivali sull’acciottolato. Si mise in ascolto e le giunse alle orecchie uno scalpiccio veloce di passi dietro di sé. Accelerò l’andatura, e anche i passi fecero lo stesso.
Qualcuno la seguiva, capì.
Si voltò e la vide: una sagoma scura che si avvicinava. Svoltò in un vicolo ed entrò nel primo stabile illuminato che riuscì a trovare: un’osteria. Quando irruppe, seguita da una folata di vento e da un turbine di nevischio, gli avventori le lanciarono occhiate cariche di cupidigia. Matilde strinse il mantello sotto il mento e, per distogliere l’attenzione da sé, sedette su una panca addossata alla parete d’ingresso, augurandosi di diventare invisibile. Non sapeva cosa fare. Non osava tornare subito fuori, per paura di incappare nel suo inseguitore, posto che esistesse davvero e non si fosse immaginata tutto quanto; tuttavia non voleva nemmeno rimanere in quel locale che puzzava di vino e sudore, colmo di marinai dai volti rudi e minacciosi.
Una cameriera con i capelli corvini sciolti sulla spalle e abiti provocanti, si avvicinò e le chiese: «Volete che vi porti qualcosa, signorina?».
Matilde, distratta dal tintinnio dei numerosi bracciali d’oro che roteavano al polso della donna, scosse il capo in segno di diniego. La cameriera alzò le spalle con noncuranza e tornò dietro al bancone per riferire qualcosa all’uomo che mesceva il vino. Quest’ultimo scoppiò a ridere, si pulì le mani nel grembiule sporco che portava allacciato alla cintura, quindi avanzò baldanzoso verso Matilde. Era un energumeno corpulento, con la pancia gonfia e la barba cespugliosa che gli nascondeva buona parte del viso.
«Cercate qualcuno, bellezza? Forse desiderate compagnia… Sembrate una signora per bene, ma chi può dire cosa celino i vostri abiti costosi…»
Le si era avvicinato rapido, chiudendole la via di fuga, poi si era seduto accanto a lei e, prima che riuscisse a sfuggirgli, le aveva afferrato il polso. Matilde si divincolò, e l’oste con una delle sue rudi braccia le cinse la vita e l’attirò a sé, mentre gli avventori del locale lo incitavano con frasi volgari. La nausea l’assalì e le lacrime le pizzicarono gli occhi, mentre cercava con tutte le sue forze di liberarsi.
«Lasciatemi, subito!» intimò, cercando di apparire calma e autorevole, anche se il cappio invisibile del panico le stringeva la gola. Assestò un calcio alla gamba del rozzo oste, e l'uomo si piegò su se stesso, un attimo prima che accadesse l’inimmaginabile.
La porta dell’osteria si spalancò, lasciando entrare un turbine di nevischio e un grosso rapace notturno che, con un richiamo acuto, irruppe, volando in circolo sopra le teste degli avventori terrorizzati. Ci fu chi gridò al malocchio, chi si segnò con la mano destra e chi semplicemente abbandonò la bottiglia per darsela a gambe. L’oste, atterrito all’idea di perdere tutti gli avventori, iniziò a urlare rassicurazioni, lasciando andare Matilde, che si affrettò ad allontanarsi dalla bettola.
Fu grata di poter uscire nel vicolo deserto, nonostante l'abbraccio del gelo che trasformò in nuvole di vapore bianco il suo fiato. Poggiando una mano contro il muro, si accorse di tremare, in parte per il freddo, in parte per lo spavento.
«William» mormorò a fior di labbra, per infondersi coraggio. Il desiderio di rivederlo era talmente forte che bastò questo per calmare il suo cuore impazzito.
Chiuse gli occhi e, quando braccia calde la avvolsero, non provò terrore, ma solo un desiderio struggente di abbandonarsi alla loro forza. L'inconfondibile aroma di cuoio e legna da ardere che le arrivò alle narici, la riempì di gioia incontenibile confermandole che doveva essere lui, perché nessun’altro riusciva a farla sentire a casa e al tempo stesso sulla vetta più alta del mondo. William era la sua promessa di vita e felicità, il motivo per cui il terrore non l’avrebbe mai piegata. Inghiottì le lacrime di gratitudine che le erano salite agli occhi e poggiò il capo sul suo ampio petto.
Lui le posò una mano sulla nuca e la cullò a sé, saldo come una roccia. Matilde aprì gli occhi e, finalmente, lo vide in volto. Labbra rese ruvide dal gelo, ma roventi come se racchiudessero il segreto stesso della vita, le sorrisero piegandosi in una linea sensuale. Gli zigomi pronunciati erano arrossati dal gelo e scivolando con lo sguardo sulla loro superficie granitica arrivò ad ammirare il miracolo della natura per cui ogni volta perdeva un battito del cuore: gli occhi scuri, intensi e avvolgenti, che contrastavano con i capelli biondi.
Inferno e paradiso insieme, uniti per legarla senza possibilità di fuga.
«Oh, William, ti stavo cercando. Ti cerco da così tante ore che credevo di diventare pazza… Dov’eri?» chiese Matilde, sentendo l’ormai famigliare rollio del cuore in gola.
«Amore mio, non sono mai lontano da te, non devi temere nulla. Quando il tuo cuore chiama, il mio risponde e per te io ci sarò sempre» disse lui con semplicità, sorridendole.
Pagliuzze dorate scintillavano nelle profondità oscure delle sue iridi, illuminandole e creando giochi di colore. Le trasmisero tepore, come se stesse osservando un fuoco vivace, e in quel momento si accorse di non sentire più freddo.
Lui si piegò verso di lei, era molto alto e aveva braccia potenti fasciate dalla divisa dei Cacciatori di Sua Maestà, la bocca fu a un palmo dalla sua e Matilde si mordicchiò un labbro impaziente. La paura, il buio della notte, il pericolo, tutto era esorcizzato dalla sua presenza. Ora, più di ogni altra cosa, desiderava uno dei suoi baci ardenti, quelli che la facevano rinascere dalle proprie ceneri e le scatenavano turbe di farfalle impazzite nello stomaco. Desiderava che, rapito dall’entusiasmo di averla accanto, la stringesse fra le braccia sollevandola da terra. Adorava quando lo faceva. In quei momenti si sentiva al centro dell’universo e completamente libera. Non poteva più vivere senza di lui!
«Dici sempre così, ma non so mai se tu sia al sicuro…» insistette lei. «Mi preoccupo per te.» Sapeva che lui era in grado di cavarsela anche nelle situazioni più difficili, non dubitava della sua forza, ma ogni volta che pensava a William diventava totalmente irrazionale. Teneva troppo a lui. Era la ragione che l’aveva spinta a tornare a vivere, vincendo le tenebre, e ogni suo bacio o carezza era infinitamente prezioso.
«Cerchi di ribaltare la situazione, sebbene pesi il triplo di te e abbia un’arma al fianco. Sono io che dovrei preoccuparmi. Sai quanto sia pericoloso girare di notte per le strade della città. Non dovevi venirmi a cercare, eppure non riuscirei a farti attendere al sicuro nemmeno se ti mettessi una pattuglia alle calcagna, giorno e notte. Per fortuna so come persuaderti a seguire i miei consigli, ed è un metodo molto piacevole…» disse William e, finalmente, posò le labbra sulle sue.
L’aveva fatta attendere, ma la ricompensa superò di gran lunga ogni aspettativa. Fu come venire risucchiati dalla marea, finire sott'acqua senza fiato e poi riemergere in superficie per tornare a respirare. Un brivido le percorse il corpo arrivando a lambirle ogni nervo nascosto, scendendo in profondità. Si sentì perduta, ma la delizia degli affondi della sua lingua era appena all’inizio e lei aveva così tanti frammenti d’anima da regalargli.
Aprì gli occhi. William la stringeva ancora, ma con meno forza. Aggrottò la fronte contrariata, quasi disturbata da un rumore lieve e ritmico. Era lo sbattere d’ali, blu come l’oceano, di una farfalla che scendeva dall’alto fra i fiocchi di neve turbinanti. Matilde strabuzzò gli occhi. Una farfalla? Fra la neve? Era impossibile. Esattamente come lo era stato l'ingresso del rapace nell'osteria. Il corpo di William che la stringeva fra le braccia iniziò a perdere consistenza, i contorni persero definizione e una nebbia bianca tolse ogni colore, mentre in lei si faceva strada la consapevolezza dell'irrealtà di ciò che la circondava. L'irrealtà tipica dei sogni.
Non ora, pensò. Non voleva svegliarsi in quel momento, mentre le mani di William si muovevano sul suo corpo risvegliandolo con tocchi lievi. Non ora che avrebbe finalmente sentito le sue dita ruvide sulla pelle, stuzzicarla fino a farla gemere. Ma le ali della farfalla, con il loro opalescente splendore, la sfiorarono e la riportarono alla realtà.
Matilde aprì gli occhi. Era nel proprio letto, al sicuro, avviluppata in calde coperte. Lontana da William, ma legata a lui da quella notte di desideri sopiti. Ora lo sapeva: passione, amore, calore e vita avevano il suo volto le sue forti braccia, non le restava che abbandonarsi a esse.

Nuove recensioni del nostro libro, che emozione!






"Personaggi intensi ma allo stesso tempo non "perfetti", perciò quanto mai realistici e con i quali si entra subito in empatia. Ambientazione in una Mantova affascinante e sorniona che fa da sfondo ad una storia davvero avvincente. Assolutamente da leggere!"

Danila sito eharmony




"Un debutto col Botto!!
Innanzitutto l'ambientazione è bellissima sia dal punto di vista storico che geografico. Lui non è il solito libertino (per fortuna ero un pò stufa di questa cosa) ferito nel corpo ma soprattutto nell' anima Lei fragile per i traumi subiti all'inizio diventa forte e coraggiosa per amore e devo dire che questa crescita seppur veloce mi è piaciuta. Forse un pò troppa lunga la parte del giallo inserita nel romanzo ma alla fine Bellissimo. E soprattutto i protagonisti non sono perfetti e meno male!!!!"

Anna sito eharmony

17/10/13

Venite a conoscerci

 
 


Il 22 novembre alle 18,00 presenteremo il nostro libro alla libreria IBS di Via Verdi n. 50 a Mantova.

 

Venite numerosi!

 
 

13/10/13

Bussolano




Ecco oggi il ritorno delle ricette mantovane amate da Silvana la madre di Matilde Vicolini. Stavolta parleremo del Bussolano:

 



Il Bussolano è praticamente una specie di ciambellone piuttosto sodo, che, in passato nella sua versione tradizionale era piuttosto duro vista l'assenza dello lievito che utilizziamo oggi e l'utilizzo dello strutto invece che del burro. E proprio per questa consistenza si usava mangiarlo accompagnato con il vino, spesso, addirittura, inzuppato nel vino. Cosa che comunque si usa fare ancora oggi, nonostante sia molto più morbido. 
 
Io naturalmente vi darò la ricetta moderna del Bussolano che risulterà in un ciambellone sodo ma morbido, adatto per la colazione del mattino.
 
Ingredienti

400 gr. di farina bianca
150 gr. di zucchero
150 gr. di burro
due uova,
50 gr. di latte
lievito chimico
uvetta sultanina
un bicchierino di liquore all'anice o scorza di limone

Preparazione

Si monta il burro con lo zucchero, si aggiungono i tuorli, uno per volta e poi la farina. Si aggiunge il latte: quanto basta per legare il tutto e poi si aggiungono gli albumi montati a neve. A questo punto all'impasto unite l'uvetta sultanina precedentemente ammorbidita in vino bianco dolce o acqua.
E infine l'aroma che vorrete dare al vostro dolce, potete scegliere tra un bicchierino di liquore all'anice o scorza di limone grattugiata o vaniglina...ciò che preferite. Tradizionalmente a Mantova si usava il liquore all'anice, io personalmente preferisco la scorza di un limone.
Si vuota quindi il composto ottenuto in una teglia a forma di anello chiuso e si cuoce infornando a forno ben caldo (diciamo 180 gradi) per 30-40 minuti.
 
Uscito dal forno cospargere di zucchero o zuccherini.
 
Tenete presente che questa è la versione della mia famiglia del Bussolano, in realtà tradizionalmente non c'è l'uva sultanina, e alcuni invece dell'uva sultanina utilizzano proprio l'una fresca.
 
Ma allora ci avviciniamo pericolosamente alla ricetta della ciambella all'uva che è un altro dolce tipico mantovano molto più morbido.
 
Esiste anche la variante che non prevede di dargli una forma a ciambella, ma a me non piace.


 

Il nostro libro in giro per l'Italia

 
 
 
Prime immagini del nostro libro nelle camere dei suoi lettori e nelle edicole e librerie d'Italia:
 
 
 
 
 





11/10/13

The Secret Door: Il salotto di Lizzie - Intervista a Mary & Frances Shepard...




The Secret Door: Il salotto di Lizzie - Le interviste #5 "Mary & Fr...: Lettori carissimi, oggi ho il piacere di avere come ospiti sul blog due autrici italiane che hanno appena visto la loro opera d'esordio...

INTERVISTA A MARY & FRANCES SHEPARD

Ciao Mary, ciao Frances, e benvenute su The Secret Door. Grazie per aver accettato di essere mie ospiti. È una vera emozione poter intervistare due giovani autrici italiane di grande talento!
F. Ciao Monia, è un piacere chiacchierare con te. Grazie per averci ospitate sul tuo blog.
M. Grazie a te!

Prima di tutto, raccontateci un po’ di voi. Mary & Frances sono gli eleganti pseudonimi dal sapore austeniano dietro cui si nascondono Mariachiara Cabrini e Francesca Cani. Chi sono in realtà queste due giovani donne? Come vi piace descrivervi?
Mary
Frances
M. Sono Mariachiara, sono una lettrice compulsiva e amo scrivere quanto leggere. Lavoro come impiegata, ma ho una seconda identità come blogger che guarda a caso parla di libri.
F. Sono Francesca, sono sportiva, amo viaggiare, sono uno spirito libero. Ogni volta che posso parto alla scoperta di posti non proprio turistici e di paesaggi incontaminati, sono rientrata la settimana scorsa dall’Irlanda. Il mio compagno di viaggio è anche il mio eroe: mio marito Matteo.


Voi siete entrambe autrici, singolarmente, di numerosi titoli allettanti. Cosa vi ha spinto ad intraprendere un percorso di scrittura a quattro mani? È stato difficile scrivere un romanzo insieme ad un’altra persona? E come avete affrontato il processo di scrittura in comune?
M. Credo che per un autore sia molto importante sperimentare e mettersi in gioco, noi l’abbiamo fatto. L’idea è nata così, per caso, visto il nostro comune amore per la scrittura, e poi ci abbiamo preso la mano. In due proseguire spediti nella scrittura è più facile. Hai sempre qualcuno a cui chiedere consiglio e pronto a spronarti. Non è un processo semplice e richiede una giusta preparazione, però. Bisogna organizzarsi accuratamente, una volta decisa la trama creare una sinossi e poi una scaletta accurata dei capitoli completa di punti di vista in modo da dividersi il lavoro. Poi una volta che si inizia a scrivere il confronto deve essere continuo, di solito il risultato è qualcosa che piace a entrambe e questo è già segno che potrà piacere a un pubblico molto ampio, visto che io e Francesca abbiamo gusti molto diversi.
F. Nel mio lavoro dico sempre ai bambini che collaborare arricchisce e che il confronto è costruttivo, perciò ho messo in pratica quello che predico da anni. Siamo amiche dai tempi dell’università, Mary e io, quindi avevamo già sperimentato la solidarietà che nasce fra compagni di corso. Abbiamo letto l’una parte dei lavori dell’altra, prima di decidere di scrivere in tandem, quindi è nata stima, sintonia e poi l’idea di scrivere insieme. Siamo sempre partite da discussioni e brainstorming faccia a faccia, che poi proseguivano con scambi di e-mail chilometriche. Dai problemi iniziali sulla costruzione dei personaggi a quelli fondamentali sulla trama, non abbiamo mai smesso di esprimere i nostri punti di vista. Eravamo entrambe consce del fatto di avere fra le mani una storia vincente forse perciò, nonostante le difficoltà, abbiamo perseverato. Sì, perché all’inizio parlavamo due lingue molto diverse, per stile e gusto personale. Ma ci siamo armonizzate con facilità e siamo ben presto diventate una la spalla creativa dell’altra.

Come è nata l’idea per “I colori della nebbia”? Cosa vi ha ispirato questa storia ricca di mistero e romanticismo? E come mai avete scelto di intraprendere questa prima avventura insieme cimentandovi in un romance storico?
M. Una volta deciso di provare a scrivere un libro assieme abbiamo concordato di cimentarci in un genere che conoscevamo e che avesse un buon pubblico e perciò fosse commerciabile. A entrambe è subito venuto in mente il genere romance. Abbiamo poi deciso che volevamo creare dei personaggi fuori dai soliti canoni romance, con un quid in più, e pensando e ripensando, parlando e confrontandoci è nata la trama. Molto semplicemente.
F. Eravamo già entrambe predisposte a scrivere qualcosa di romantico, avevamo ambedue un po’ d’esperienza nel campo. Siamo laureate in Storia dell’arte, quindi la ricerca d’archivio e bibliografica è stata il nostro pane quotidiano per anni, abbiamo pensato di mettere a frutto i nostri studi, da qui l’ambito storico. E’ stata, a ben vedere, la scelta vincente perché, fin dalle prime letture dell’editor, ci è stato riferito che nel romanzo si respirava proprio l’aria del periodo storico che abbiamo scelto. 


Sapreste definire il vostro romanzo solamente con tre aggettivi? Tre per Mary e tre per Frances. Quali e perché?
F. Passionale, colorato, dinamico. Passionale non solo per ciò che evoca subito l’aggettivo, ma anche perché vi sono molte passioni nel romanzo. Inespresse, potenziali, totalizzanti, ma sempre forti e in grado di dare carattere e vita ai personaggi. Colorato perché, se lo leggerete, vi renderete conto che si tratta di un romanzo molto visivo: i colori si vedono, a volte si toccano, sono sempre presenti. Dinamico perché vi è l’azione che spesso manca nei romance classici.
M. Romantico, avvincente e mantovano. Romantico perché è un romance, perciò il romanticismo al suo interno non manca di certo (così come due scene particolarmente passionali). Avvincente poiché si è sempre in tensione, leggendolo, per capire chi sta dietro gli attentati contro Matilde. Mantovano poiché è ambientato a Mantova, la nostra città. 

Leggendo la sinossi del libro, si intuisce che in questa storia non c’è solamente l’intreccio amoroso, ma un mix di mistero, avventura, pericolo e passione. Come mai avete scelto di dare un taglio così dinamico e originale al romanzo e di concentrarvi non solo sui sentimenti amorosi dei protagonisti ma anche su vicende così oscure e dal fascino cupo?
F. Sì, I colori della nebbia ha molte sfaccettature create appositamente per allargare gli orizzonti. Ci serviva qualcosa che fosse stimolante da scrivere, rimanere tutto il romanzo a sondare i sentimenti dei due protagonisti ci toglieva molte possibilità, ancorandoci alla tradizione. Volevamo qualcosa, che pur rimanendo nel classico taglio romance, fosse di vedute più ampie. Così è nata la storia che ha sprazzi giallistici, noir, d’avventura e molta azione.
M. Fin da subito volevamo distanziarci dai soliti romance, dare qualcosa in più ai lettori e creare un atmosfera dinamica e ricca di mistero ci è sembrato il modo giusto per farlo. Mantova poi è una città la cui atmosfera si presta molto a intrighi e complotti, nell’ombra della nebbia.

Avete inserito nell’intreccio un periodo storico molto affascinante, e dalla precisione dei dettagli si può dedurre che avete intrapreso un minuzioso lavoro di ricostruzione storica. È stato difficoltoso ricreare un’epoca passata? È stata la prima volta che vi mettevate alla prova in questo campo oppure avevate già esperienze nella stesura di romanzi storici?
M. Grazie ai nostri studi in Storia dell’arte siamo abituate alle ricerche storiche e ci piacciono, per noi girare per biblioteche e archivi è uno spasso.
F. Per me non era la prima volta, perché il mio primo romanzo è uno storico ambientato in un’epoca più recente, ovvero durante la Seconda Guerra Mondiale (Amare- Il profumo del gelsomino notturno, edito da goWare) Anche in molti racconti avevo sondato la possibilità di dedicarmi allo storico (Lite Editions e Chichili Agency). La mia tesi di laurea specialistica, inoltre, verteva proprio su una scuola di pittori mantovani che ebbero la maggiore attività nel periodo 1815/17.

Voi abitate entrambe a Mantova e, dalla trama del vostro libro, è palese il vostro amore per questa bella città. È stata unanime la scelta di ambientare la storia proprio lì? Insomma, quando avete deciso di scrivere questo romance, avevate già la certezza che Mantova avrebbe fatto da sfondo alle vicende? O è una decisione che avete preso in seguito?
M. E' una decisione che è stata presa quasi subito. Bisogna scrivere di ciò che si conosce per risultare credibili, inoltre era la nostra prima esperienza nel genere romance, ambientarla in una città che conoscevamo bene ci rassicurava.
F. E’ stata una decisione unanime che ha subito solleticato la fantasia di entrambe. Sembra strano ma ancora oggi, dopo anni di lavoro fra stesura ed editing, quando cammino per i vicoli di Mantova penso: “qui è passato William” oppure “là abitava Matilde”. Insomma girare per la città è diventato come passeggiare per un set! 

Quanto c’è di ognuna di voi nella protagonista della storia o negli altri personaggi?
M. Credo sia importante dire che questa storia ha due protagonisti Matilde e William, non uno. Entrambi hanno uno spazio uguale nel romanzo ed entrambi sono i cardini della storia. Io ho seguito più Matilde e Francesca più William, ma in realtà poi, confronto dopo confronto, possiamo dire che sono entrambi di entrambe. Amiamo molto anche i personaggi secondari del romanzo. In particolare io sono molto affezionata la personaggio della nonna di Matilde, per cui mi sono un poco ispirata a mia nonna, e al cane di Altea, Amadeus.
F. Più che della protagonista in me c’è qualcosa di William, c’è molta della sua irrequietezza del suo essere un personaggio fisico, che agisce e si sporca le mani. Lui si sfinisce con gli allenamenti militari, io sono attiva e sportiva, ci somigliamo. C’è qualcosa di mio anche nella sbadataggine di Eusebio, lo zio di Matilde, e nel carattere ironico di Edmund, l’amico e compagno d’armi di William. Mi sono dedicata di più ai personaggi maschili nella stesura del romanzo, si nota?

Tra le due chi è la più romantica? Sono curiosa di sapere chi ha dato l’impronta più sentimentale alla storia e chi, invece, quella più misteriosa. Chi ha conferito il tono del romance e chi quello del mistero? C’è stato questo dislivello emotivo durante la stesura oppure è stato tutto molto equilibrato?
M. Siamo entrambe romantiche, e amanti dei lieti fine. Senza alcun dubbio. Ma tra noi due forse sono io a essere un poco più guastafeste, nel senso che tendo a essere anche molto disillusa e terra terra. Perciò spesso mi veniva naturale smorzare i toni più romance dei romance.... Per fortuna Francesca, in piena fase Luna di miele, ha riequilibrato il tono. Lei è molto brava nelle scene d'azione, le ama particolarmente, io amo più le scene ironiche e familiari. Per quanto riguarda il mistero, bé, lì ci siamo arrovellate entrambe, perché far combaciare tutti gli elementi di un giallo è più complicato di quanto sembra. Da fan di CSI ho amato però cimentarmi nella costruzione di una piccola indagine, per quanto difficile.
Elinor e Marianne Dashwood
F. Siamo entrambe romantiche ma abbiamo due vene di romanticismo differenti. Io sono più drammatica, per me il romanticismo vero è il connubio fra amore e morte, l’inscindibile alternarsi di passione e destino fatale. Sono un po’ una Marianne Dashwood moderna. Mary è più concreta e più orientata al romanticismo che va di moda ai tempi nostri, lei è la mia Elinor, mi trascina con i piedi per terra e dà sempre saggi consigli. Altre due sorelle Marianne e Elinor Dashwood, sarà un caso? 
 
 
 
 
 
Per continuare a leggere il resto dell'intervista recatevi sul blog The Secret door......